Dorothea Lange. Quando la finestra non basta
4 Ottobre 2025
Letizia Battaglia
4 Ottobre 2025
Terza pagina · 4 Ottobre 2025 · ⏱ 5 min · ~1040 parole

All’inizio c’è sempre una stanza. A Ginevra, nel 1919, le sedie sono in fila perfetta: la Società delle Nazioni immagina un mondo nuovo dopo le trincee. A San Francisco, nel 1945, le sedie sono più robuste: nascono le Nazioni Unite, con un’idea semplice e ambiziosa—fermare le guerre grandi con un minimo di regole e un massimo di realismo.
La domanda di oggi è brusca: ha fallito anche l’ONU?

Tesi

No, non ha fallito come la sua antenata; ma rischia l’irrilevanza quando gli interessi delle grandi potenze si scontrano. L’ONU non è un governo del mondo. È un meccanismo: funziona finché le leve si muovono insieme.


Il precedente che brucia: la Società delle Nazioni

La SdN nasce figlia di Versailles. Non ha gli Stati Uniti dentro. Non ha strumenti coercitivi. Si affida alla pressione morale e a sanzioni deboli.
Quando il Giappone occupa la Manciuria (1931) e l’Italia invade l’Etiopia (1935), la macchina si inceppa: gli aggressori restano nel consesso, le sanzioni fanno male a metà, il diritto cede al fatto compiuto. La Germania di Hitler esce, riarma, travolge. La SdN sopravvive sulla carta ma è già un guscio. Fallimento pieno: l’istituzione non ferma la seconda guerra mondiale e non salva se stessa.

Lezione: senza forza legittimata e senza i grandi dentro, le regole non reggono.


Il compromesso robusto: l’ONU del dopoguerra

Nel 1945 si evita l’errore: dentro ci sono tutti i vincitori. Al Consiglio di Sicurezza siedono in cinque con diritto di veto (Stati Uniti, URSS/Russia, Cina, Regno Unito, Francia). È uno scandalo? È realismo politico: meglio un foro dove i grandi si guardano negli occhi che un vuoto dove si sparano alle spalle.

L’ONU non impedisce tutte le guerre. Impedisce la guerra mondiale. Nei momenti giusti, funziona:

  • Corea, 1950: intervento autorizzato (complice un’assenza sovietica).

  • Suez, 1956: crisi disinnescata, nascono i caschi blu come invenzione pratica.

  • Namibia, Cambogia, Timor Est: processi di indipendenza accompagnati.

  • E poi la rete delle agenzie: OMS, UNESCO, UNHCR, PAM. Vaccini, alfabetizzazione, rifugiati, grano. È la parte non spettacolare e decisiva: la manutenzione del mondo.

Non mancano gli abissi. Ruanda 1994: mandato debole, mezzi insufficienti, genocidio. Srebrenica 1995: “safe area” violata. Lì l’ONU non fallisce come idea—falliamo noi, che le diamo poco potere e la riempiamo di aspettative salvifiche.


L’età dei veti incrociati: dall’Iraq a oggi

Con la fine della guerra fredda, per un attimo sembra tutto semplice. Poi si richiude. Iraq 2003: guerra senza mandato del Consiglio; l’ONU resta sul lato della legalità, ma il mondo va per conto suo.
Siria dal 2011: veti a ripetizione bloccano risoluzioni incisive.
Ucraina dal 2022: l’aggressore è membro permanente e usa il veto; l’Assemblea Generale condanna, ma non ha potere esecutivo.
Gaza: risoluzioni umanitarie, richieste di cessate il fuoco, attuazione a singhiozzo. L’ONU appare palcoscenico di parole. Intanto, paradosso: mentre la politica si impantana, WFP, UNICEF, OCHA tengono in vita milioni di persone.


Il meccanismo, nudo e vero

Le istituzioni internazionali funzionano quando coincidono gli interessi dei grandi o quando almeno non collidono. Il veto è il prezzo pagato alla realtà: evita che i potenti escano dal gioco. Ma al tempo stesso paralizza il gioco nelle crisi dove loro sono parte in causa. Il diritto internazionale—divieto dell’uso della forza, legittima difesa, sanzioni—vive sospeso tra norma e rapporto di forza. Non piace, ma è il motivo per cui l’ONU c’è ancora e la SdN no.


Obiezioni oneste

  • “Fallita” è parola grossa. L’ONU ha impedito il peggio—non è poco. Ha steso infrastrutture di cooperazione che nessun altro possiede.

  • Non è un governo mondiale. Pretenderlo significa condannarla in partenza.

  • Costi e burocrazia. Sì, c’è spreco. Ma il costo di non avere un quadro comune—per epidemie, carestie, rifugiati—è immensamente più alto.


Dove si decide davvero

Una parte delle decisioni si è spostata altrove:

  • G7 e G20: coordinano macroeconomia e sanzioni fuori dal perimetro ONU.

  • Alleanze regionali: UE, AU, ASEAN, NATO colmano vuoti operativi.

  • Coalizioni ad hoc: si interviene “tra volenterosi”, poi si cerca la foglia di fico legale.

Questo non cancella l’ONU, ma la decentra. La sua forza residua è duplice: legittimità e universalità. Tutti, compresi i paria, devono passare di lì a giustificarsi. È una vetrina, sì. È anche una memoria: risoluzioni, rapporti, commissioni d’inchiesta che fissano i fatti quando la politica vorrebbe annegarli nel rumore.


Riformare senza slogan (5–20 anni)

Tre linee concrete, tutte difficili, nessuna impossibile.

  1. Consiglio di Sicurezza più rappresentativo.
    Dentro India, un’Africa con seggio stabile, America Latina (Brasile), forse Giappone/Germania. Non serve solo giustizia simbolica: serve interesse dei nuovi pesi massimi a tenere in piedi la baracca. Senza loro dentro, cresceranno le alternative parallele.

  2. Veto con freno di emergenza.
    Proposte circolano da anni: astensione obbligatoria del membro coinvolto direttamente; sospensione volontaria del veto in caso di atrocità di massa; possibilità per l’Assemblea Generale (con maggioranze qualificate) di “attivare” raccomandazioni operative quando il Consiglio è bloccato. Non creerà miracoli. Ridurrà l’impunità procedurale.

  3. Rafforzare il “silenzioso che salva”.
    Più fondi stabili per WFP, UNHCR, UNICEF, OMS, protezione dei peacekeepers con mandati chiari e regole d’ingaggio coerenti; investimenti sulle inchieste indipendenti e sul dato verificato (satelliti, open source). È la parte meno fotogenica e più efficace.


E se non si riforma?

L’ONU non esploderà come la SdN. Sbiadirà. Diventerà un luogo di rituali utile a legittimare ciò che altri decidono altrove. Nel frattempo cresceranno blocchi, sfere di influenza, club tematici (clima, AI, catene del valore). Un mondo più frammentato, dove il diritto pesa meno e la forza torna argomento. È già qui, a bassa frequenza.


Conclusione

La domanda “ha fallito l’ONU?” chiede una sentenza. La storia risponde con un avverbio: ancora no. L’ONU è una cerniera: non chiude tutte le porte, ma tiene insieme un telaio. Quando i grandi vogliono, la porta gira; quando non vogliono, la cerniera stride.
La vera questione è un’altra: abbiamo ancora voglia di un ordine regolato? Se la risposta è sì, l’ONU resta il posto dove litigare guardandosi in faccia, produrre prove, soccorrere chi può essere salvato. È poco rispetto ai sogni del 1945. È moltissimo rispetto al nulla.

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