La bellezza pretende coraggio
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Il Racconto del sabato · 1 Novembre 2025 · ⏱ 3 min · ~523 parole

Pioveva sottile. Non quella pioggia elegante dei film francesi. No, quella che ti entra nei risvolti del cappotto e resta lì, come una scadenza che fingi di non vedere.
Il cinema mi sembra una tana perfetta. Notte di Halloween, Bergman in lingua originale, buio. Un piano modesto, ma perfetto.

Dentro, la sala era un piccolo carnevale horror: vampiri col fiatone, zombie con bibite giganti, streghe distratte dal mascara colato. Odore di popcorn umido. Mi siedo. Ed eccola: una falce, tenuta alta, che disturba la vista.

— Scusa, la sposteresti? — dico piano, più per prudenza che per coraggio.

La figura davanti si gira. Lentamente. Non è un costume improvvisato. È lei: la Morte. Sguardo paziente, la calma burocratica di chi non ha fretta.

Faccio cenno che va bene così, che resti pure comoda.

Durante la scena della scacchiera, sento un soffio vicino all’orecchio. Si è seduta accanto a me.
— Non preoccuparti, non sono qui per te.
— Ottimo. Ma se resti, almeno abbassa la falce: copre i sottotitoli.

Ride. Una risata corta, composta. Di chi non deve mai spiegarsi.
— Ti agiti per poco.
— È la mia forma di preghiera.

Quando il film finisce, cerco di confondermi nella folla di mostri stanchi. Ma dietro di me c’è ancora lei. Lo capisco da quel passo unico, calibrato, che non ti rincorre. Ti aspetta.

— Non sembri spaventato, — dice.
— Non è spavento. È rassegnazione preventiva.

Lei inclina la testa, incuriosita.
— Di solito a questo punto qualcuno corre.
— Non sono vestito per correre. E tu non sembri il tipo da inseguire.

La pioggia punteggia l’asfalto. Camminiamo fianco a fianco come due che non si devono nulla, ma sanno troppo.

— Sai cos’è curioso? — dice lei. — Tutti credono di sapere chi sono. Nessuno mi chiede mai che faccio quando non lavoro.
— Avete ferie?
— Poche. E mal pagate.

Ride piano. Poi aggiunge, con nonchalance:
— La falce non basta più. Così ho preso un lavoretto per arrotondare.
— Nei tempi morti? — mi scappa.
— Esatto. — sorride. — È incredibile quanta gente non se ne accorga.

Si ferma sotto un lampione tremolante. Siamo in due, ma sull’asfalto c’è una sola ombra. La mia.

Apre il mantello. Sotto, niente ossa: giacca un po’ sdrucita, cravatta scura, badge di riconoscimento appeso a una catenella.
— In fondo, certe pratiche non si chiudono da sole.

Una busta passa dalle sue mani alle mie. Fredda, pesante.
— Non serve correre, — dice. — arrivo sempre quando c’è la scadenza.

Poi si volta e scompare nella nebbia.

Resto lì, con la pioggia che picchia e la busta che pesa troppo. La apro. Non è un testamento. È peggio. Una notifica dalla mia ex. Altri alimenti da pagare.

La paura vera non sempre ti prende per mano. A volte bussa con tesserino e sorriso educato.

Armando

Disclaimer (non si sa mai…)

Woody è un personaggio di finzione, il mio alter ego narrativo. Si ispira nello stile e nelle atmosfere al suo omonimo americano, senza alcuna affiliazione, approvazione o rapporto. I dialoghi e le situazioni sono inventati o rielaborati a fini narrativi; eventuali riferimenti a persone o fatti reali servono al racconto e non intendono descriverli fedelmente. Marchi e nomi citati appartengono ai rispettivi titolari.

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