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Porziuncola, tardo pomeriggio. L’aria sa di legno e di terra bagnata. Le campane tagliano la luce. Entro per ripararmi da un breve scroscio. Quando gli occhi si abituano al buio, è già lì. Scalzo, il saio consumato, il viso più giovane di quanto dica la storia. Non mi lascia iniziare: mi fa segno di sedere a terra, vicino. “Parliamo semplice.” È lui a cercarmi.

Q. Perché hai cercato tu me?
A. Perché la parola che cerchi dev’essere povera per essere vera. Io sono nato ad Assisi, figlio di un mercante; ho provato la ricchezza, l’odore del panno buono. Poi ho capito che il possesso mi possedeva. Ho scelto di essere “minore”, non per disprezzo delle cose, ma per ammettere che le cose non sono me.

Q. “Va’ e ripara la mia casa”: che significa oggi?
A. La frase, udita davanti al crocifisso di San Damiano, non parlava solo di muri. La “casa” sono i corpi, le relazioni, la Chiesa, la città. Io cominciai sul serio con i muri: calce, travi, mani. Poi capii che riparare è rammendare legami. Oggi inizi da vicino: un debito saldato, una parola restituita, un tavolo dove siedono persone che non si parlano più.

Q. Povertà è miseria? O ideologia?
A. La miseria imprigiona e umilia: va combattuta. La povertà evangelica è libertà da ciò che pretende di definirti. Nella Regola dei Frati Minori scrissi che non dovevamo avere “nulla di proprio”: non per eroismo, ma per tenere le mani aperte. Se non stringi, puoi ricevere e condividere.

Q. Il lupo di Gubbio e il sultano d’Egitto: fiabe o politica?
A. Sono incontri. Il lupo era la paura di una città; si placa quando lo chiami per nome e gli dai pane e misura. A Damietta incontrai al-Malik al-Kamil durante la Crociata. Andai disarmato: quando non porti armi, devi portare ascolto. Non si tratta di vincere, ma di abitare lo spazio dell’altro senza rinunciare alla verità.

Q. Il presepe di Greccio: perché “inventarlo”?
A. Perché la fede è corpo. Volevo che la gente vedesse, toccasse: fieno, mangiatoia, silenzio. Non uno spettacolo, ma una povertà che racconta senza parole. In un mondo di immagini rumorose, scegliere povertà visiva è una grammatica.

Q. Il Cantico delle creature sembra ecologia ante litteram. È così?
A. Il canto nacque nel dolore,, quasi cieco. “Laudato si’, mi’ Signore”: benedire non è romanticismo, è riconoscere la dipendenza buona. Frate Sole non è un idolo, è un fratello utile; Sora nostra madre Terra sopporta e nutre. Se tu la sfrutti senza gratitudine, ti stacchi dalla famiglia.

Q. Le stimmate: miracolo o linguaggio del corpo?
A. È ferita e dono insieme. Non cercai segni. Accadde pregando. I segni non sono medaglie, ma memoria nel corpo: così non ti dimentichi del dolore degli altri. La “perfetta letizia” non è euforia; è pace durante la contraddizione, quando ti insultano e non rispondi con la stessa moneta.

Prima di uscire, Francesco mi prende il polso, come per contare i battiti. Sorriso corto, quasi a scusarsi della fretta. “Domani, se puoi: restituisci un debito, mangia con qualcuno che eviti da tempo, chiama per nome una pianta del tuo quartiere.” Poi esce. Fuori ha ripreso a piovere; le campane non suonano più. Restano tre parole, asciutte: spogliati, ripara, canta.