Sai cosa colpisce? Che in un’epoca in cui tutti gridano la propria libertà, ci sia ancora qualcuno disposto a rischiarla per gli altri. Le persone della Sumud Flotilla, e chi è sceso in piazza pacificamente, non hanno fatto un gesto romantico. Hanno ricordato che la solidarietà non è un sentimento, è un’azione.
Mi fa sorridere quando qualcuno dice: “Sì, ma tanto non serve a niente.” Lo dice sempre chi non ha mai provato a fare qualcosa. In realtà serve eccome: serve a tenere viva la decenza. A dimostrare che, anche quando i governi si girano dall’altra parte, ci sono cittadini che non accettano l’indifferenza come normalità.
Quelli che hanno preso il mare sapevano benissimo che non avrebbero cambiato il corso della storia. Ma ci sono momenti in cui conta più esserci che vincere. Quando sali su una barca sapendo che potresti non tornare, stai dicendo al mondo: “Io non mi arrendo alla logica della forza.” È già molto. È, in fondo, l’unico linguaggio che resta quando le parole sono state logorate dalla propaganda.
E chi ha manifestato per strada — con i cartelli scritti a mano, la paura negli occhi e la voce rotta — ha fatto la stessa cosa. Non ha cercato eroismo. Ha cercato umanità.
In un tempo in cui il cinismo è diventato una corazza sociale, la fratellanza sembra una parola d’altri tempi. Eppure eccola lì, viva, nei gesti di chi ha messo il proprio corpo come diga contro l’indifferenza.
Qualcuno li deriderà. Qualcuno li userà per la solita polemica. Ma non importa. Ogni epoca ha i suoi ridicolizzatori di chi crede ancora nella solidarietà. Sono la tassa da pagare per restare umani.
Essere grati, oggi, non significa applaudire. Significa riconoscere.
Riconoscere che quella barca, quel corteo, quell’ostinazione a non odiare — ci riguardano. Che senza quei gesti il mondo sarebbe un po’ più freddo, un po’ più vuoto, e noi un po’ più complici.
Forse è tutto qui: la gratitudine è una forma di resistenza silenziosa. Non ti cambia la vita, ma ti ricorda da che parte vuoi stare quando le onde si alzano.
E se qualcuno si chiede ancora “a cosa serve”, la risposta è semplice: a non smettere di sentirsi parte della stessa specie.






