Buchmesse – Libertà e censura

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Buchmesse – Book-to-Screen. Quando la carta chiede allo schermo di non tradirla
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Terza pagina · 17 Ottobre 2025 · ⏱ 4 min · ~804 parole

In fiera lo capisci subito: la libertà non è un manifesto appeso all’ingresso, è una pratica minuta. Sta nel modo in cui un editore presenta un libro scomodo, nel coraggio di un bibliotecario che lo rimette a scaffale, nella maestra che sceglie di leggerlo in classe. E sta anche nel silenzio con cui, a volte, si toglie di mezzo un titolo “per non avere problemi”. La censura non sempre urla. Spesso sussurra.

Qui, a Francoforte, la parola gira tra tavoli piccoli e facce stanche. Si parla di guerre e di scuole, di cause legali e di liste nere, di piattaforme che stringono le regole proprio quando servirebbe aria. Non è un dibattito astratto: è il punto in cui la cultura incontra il rischio. Pubblicare è scegliere. E scegliere costa.

La scena è questa. Un panel pieno, qualcuno chiede come proteggere i libri nelle biblioteche scolastiche, mentre altrove un editore conta i territori in cui un titolo “non passa” per ragioni che non hanno niente a che vedere con la qualità. Dal palco dicono “difendere la libertà di espressione”. Giusto. Però la domanda vera è più ruvida: chi decide cosa può leggere chi, dove, quando? E con quali strumenti possiamo allargare, non restringere, quella scelta?

Censura non è solo il divieto esplicito. C’è la censura fredda, burocratica: bandi scritti in modo da escludere, clausole che bloccano gli archivi, algoritmi che declassano un contenuto perché “non adatto” a un pubblico generico. Poi c’è la censura calda, emotiva: pressioni di gruppo, indignazioni lampo, campagne che trasformano un libro in un bersaglio. In mezzo, il mestiere: editori, editor, traduttori, docenti che tengono la barra dritta.

L’area ragazzi è la cartina di tornasole. Lì si vede come si parla ai più giovani di identità, guerra, clima, diritti. Il rischio è doppio: semplificare fino alla predica o togliere di mezzo per quieto vivere. I libri che contano fanno un’altra cosa: danno parole, non risposte prefabbricate. Un albo ben costruito, una graphic novel onesta, un romanzo che non chiude con la morale: queste sono le piccole opere di libertà che poi diventano adulti più forti.

E lo schermo? Il passaggio book-to-screen è un moltiplicatore e insieme un coltello. Amplifica la portata, ma semplifica per definizione. Qui serve una disciplina: non perdere l’ambiguità dove c’è ambiguità, non appiattire la voce dell’autore sul “gusto medio”, dichiarare fonti e limiti quando si lavora sul reale. La censura culturale spesso nasce da qui: dall’ansia di piacere a tutti.

Obiezioni, due. Primo: “Non tutto è censura, molte sono scelte editoriali.” Vero. Un catalogo è un profilo, non una tavola universale. Ma c’è una differenza tra linea e bavaglio: la linea si dichiara, il bavaglio si nega. Secondo: “La libertà non può proteggere il falso.” Giusto. Per questo servono metodo e trasparenza: bibliografie, note d’autore, fact-checking, responsabilità giuridica. La libertà è forte quando cammina con le proprie prove.

La parte pratica, perché non siamo venuti a fare sermoni. Se sei qui per lavoro, fatti tre domande davanti a ogni stand:

  1. Qual è il perimetro della loro libertà? Chiedi quali titoli non pubblicano più e perché. La risposta dice molto.

  2. Come trattano il conflitto? Un editore serio sa gestire le critiche senza scaricare gli autori.

  3. Quali garanzie danno a scuole e biblioteche? Linee guida, materiali didattici, protocolli per il confronto: esistono?

Se sei qui da lettore curioso, porta a casa una bussola semplice: cerca un libro che apre invece di chiudere. Non quello che si mette comodo nella tua opinione, quello che la scomoda. La libertà di leggere si difende leggendo cose che ci contraddicono senza insultarci. È una palestra, non un salotto.

Il futuro prossimo non sarà più facile. Cresceranno i filtri automatici, le norme sull’età, le strettoie di copyright usate come scudo improprio. È il momento di mettere per iscritto abitudini sane: contratti chiari, diritti d’autore rispettati, archivi accessibili a condizioni eque, porte aperte alle minoranze linguistiche, “note dell’editore” quando il testo tocca temi sensibili. Non per cautela legale, per rispetto del lettore.

“Libertà” è una parola grande. Qui dentro diventa un verbo quotidiano: tenere aperto. Tenere aperto un catalogo difficile. Tenere aperta una discussione senza trasformarla in rissa. Tenere aperta una porta in una scuola che teme il rumore. In fondo la Buchmesse è questo: una città di carta dove si vede, in scala, che tipo di paese vogliamo essere.

Alla fine della giornata, metti in borsa tre cose: un libro che non ti aspettavi, un contatto che potrà difenderlo quando servirà, e un impegno: non lasciare sola la pagina quando la pagina rischia. Gli algoritmi non ci sostituiranno su questo. La responsabilità resta umana.

Domani parleremo di schermi e archivi. Oggi, uscendo dxalla fiera, guardati le mani: se porti un libro scomodo, stai facendo la tua parte.