Economia dei legami

Che…?
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Che cosa succede quando un euro di utile non va al dividendo ma torna nel quartiere, nella scuola, nel lavoro di chi fa più fatica?

La cooperazione sociale è un dispositivo che trasforma margini economici in beni relazionali durevoli. Non beneficenza: ingegneria istituzionale.

Scena 1 — Remoto

Le prime reti di mutuo soccorso nascono dove lo Stato non arriva: confraternite, monti frumentari, casse rurali. Regole semplici: un socio, un voto; ristorno ai soci; riserve indivisibili. È l’idea che il valore non stia solo nella merce, ma nella relazione che consente di produrla senza bruciare la comunità.

Scena 2 — Moderno

Nel Novecento italiano il mutualismo diventa infrastruttura: cooperative agricole, di consumo, di lavoro. Dopo gli anni Ottanta, l’intuizione decisiva: organizzare servizi alla persona e inclusione lavorativa con forma cooperativa. La legge 381/1991 riconosce due tipologie: A (servizi socio-sanitari ed educativi) e B (inserimento lavorativo di persone svantaggiate). Il punto non è “fare del bene”, ma costruire organizzazioni dove l’equilibrio economico serve una funzione pubblica: cura, educazione, dignità del lavoro.

Scena 3 — Oggi

La cooperazione sociale è una costellazione: asili nido che salvano turni familiari, laboratori che rimettono in circolo competenze, imprese che rigenerano beni confiscati e li restituiscono al quartiere con lavoro e cultura. In montagna riapre il bar-bottega della frazione; in periferia si ricuce la filiera del cibo; nei paesi si attivano comunità energetiche dove il risparmio di bolletta finanzia borse studio o trasporto solidale. Il profitto diventa linguaggio per fare legami.

Meccanismo

Perché funziona, quando funziona.

  1. Governance: “una testa, un voto” abbassa l’ansia da dividendo e allinea orizzonti di lungo periodo.
  2. Riserve indivisibili: l’utile non si disperde; resta patrimonio comune che protegge nei cicli difficili.
  3. Mutualità prevalente: lo scambio principale è col socio/territorio, non con un azionista lontano.
  4. Prossimità: i servizi stanno dove vivono i problemi; il feedback è quotidiano, non trimestrale.
  5. Ristorni e impatto: il valore torna ai soci/utenti o si reinveste in qualità del servizio; si misura con indicatori di esito (non solo output).

Obiezioni (oneste)

“Piccole, fragili, dipendenti dagli appalti.” “Ogni tanto emergono pseudo-cooperative che sfruttano.” “Innovano poco.”
Sono rischi reali. Le contromisure: trasparenza su bilanci e impatto; contratti di rete per massa critica; formazione continua; governance aperta anche a utenti e lavoratori; clausole sociali serie negli affidamenti; revisione cooperativa che funzioni davvero. Non è un vaccino totale, ma è un sistema immunitario migliore.

Cosa cambia davvero

Tre differenze operative.

  • Tempo: l’orizzonte è pluriennale, perché nessuno incassa e scappa.
  • Costo del capitale: il rendimento atteso è moderato; libera budget per qualità, salari, manutenzioni.
  • Accountability: il “cliente” è spesso socio o vicino di casa; i difetti si vedono presto, e ti bussano alla porta.

Scenari (5–20 anni)

  • Cura come infrastruttura: nidi, domiciliarità, salute mentale di comunità gestiti in consorzio cooperativo con standard di esito.
  • Lavoro di seconda occasione: filiere che mescolano manifattura leggera, digitale e artigianato per reinserire chi è fuori dal mercato.
  • Energia condivisa: comunità energetiche che usano la leva del risparmio per finanziare servizi sociali locali.
  • Piattaforme cooperative: logistica dell’ultimo miglio, assistenza domiciliare e micro-servizi gestiti con piattaforme dove i lavoratori sono co-proprietari.
  • Community wealth building: ancorare gli acquisti pubblici a imprese con reinvestimento locale, così la spesa diventa sviluppo e non solo costo.

Come si riconosce una cooperativa sociale virtuosa (in tre indizi rapidi)

  1. Bilanci e report di impatto pubblici e leggibili.
  2. Governance mista e partecipata (lavoratori, utenti, territorio).
  3. Ristorni e reinvestimenti esplicitati: chi beneficia, come, quando.

Se vogliamo misurare la cooperazione sociale, contiamo: ore di autonomia guadagnate, abbandoni scolastici evitati, rientri nel lavoro stabile, quartieri che raddoppiano le occasioni di incontro. È qui che l’utile cambia natura: da cifra a legame. Il resto è contabilità.

Armando.