Bambini al Timone. Quando il gioco diventa una promessa mantenuta

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Società · 27 Ottobre 2025 · ⏱ 6 min · ~1155 parole

Novara, 27 ottobre 2025. Una porta si apre e l’aria sa di vernice fresca e accoglienza. Il pavimento invita a piedi piccoli, le luci sono gentili, le mani degli adulti cercano altre mani. C’è un silenzio che non è vuoto: è attesa. Oggi la città consegna ai suoi bambini un luogo che dice, senza proclami: qui si cresce giocando, e nessuno resta fuori.

Si chiama “Bambini al Timone – Ludoteca inclusiva”. Seicento metri quadrati pensati con cura, più che costruiti. Uno spazio che potrà accogliere, nell’arco della settimana, oltre cinquanta bambini con disabilità cognitive, sensoriali e disturbi del neurosviluppo. Non una “struttura” in più. Un ambiente in cui il gioco torna alla sua funzione originaria: bussola che orienta, lingua madre che tutti comprendono, ponte che regge anche quando il vento soffia contro.

Dentro ci sono stanze che parlano da sole. La multisensoriale, dove il corpo impara a fidarsi di luci, suoni, tattilità. La stanza del gioco attivo, che dà ritmo alla motricità e all’attenzione. Due laboratori per inventare regole o romperle con intelligenza. La stanza dell’acqua, che placa e sorprende. Uno spazio dedicato alle piccole autonomie, per allenare quei gesti che trasformano un “non posso” in “ci riesco”. La stanza di decompressione, perché anche la tempesta ha diritto alla sua baia sicura. E una cucina attrezzata: dove il profumo di pane e di frutta diventa esercizio, relazione, festa.

Non è sufficiente elencarle, queste stanze. Bisogna vederle in azione. Un bambino che entra teso e comincia a sciogliersi su un tappeto morbido. Una bambina che scopre il rumore dell’acqua come fosse musica. Un genitore che respira, per la prima volta dopo giorni, in una sala dove qualcuno gli domanda davvero “come va?”. La promessa è tutta qui: benessere psicofisico come obiettivo, percorsi individuali come metodo, inclusione come cornice. Semplice da dire, impegnativo da fare. A Novara oggi lo si fa.

Dietro questa apertura c’è una regia limpida. L’Associazione Il Timone, che dal 2015 mette al centro persone e famiglie con progetti sociali, educativi e ricreativi. Il Comune di Novara, che appoggia e accompagna. La Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Maggiore della Carità, partner scientifico che riconosce qualità e ne affina la rotta. La Fondazione De Agostini, al fianco del Timone “da sempre”, come si dice quando la continuità non è uno slogan ma una pratica. E un gesto che vale più di molte parole: De Agostini Editore ha sostenuto i lavori di ristrutturazione. Non è beneficenza d’occasione. È una scelta di responsabilità industriale e civile.

La ludoteca porta un nome che conta: Adolfo Boroli. Imprenditore, filantropo, guida per la famiglia Boroli-Drago. Dedicare a lui questi spazi non è un tributo di facciata. È un modo per dire che in questa città l’impresa non è un’isola, e che la memoria, quando è viva, produce luoghi concreti. Un nome sulla targa; decine di nomi, ogni giorno, sulle agende degli educatori.

Oggi, alla conferenza stampa, c’erano istituzioni e volti noti. Il Sindaco Alessandro Canelli, l’Assessore regionale Maurizio Marrone, Roberto Drago e Chiara Boroli per Il Timone e la Fondazione, Maurizio Viri per la Neuropsichiatria Infantile, Ugo Negri per la direzione generale. È arrivato anche il video-messaggio del Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli. Ma la scena madre, perdonate, resta altrove: negli occhi bassi e attenti dei bambini che hanno già cominciato a esplorare. Loro non stringono mani, non tagliano nastri, non citano decreti. Loro provano, toccano, ridono, a volte piangono. Loro dicono la verità.

La verità è che giocare non è un lusso. È diritto, è terapia, è scuola di cittadinanza. Nel gioco il bambino traduce il mondo e si traduce al mondo: regola la tempesta degli stimoli, costruisce legami, impara a fallire senza rompersi, a riuscire senza montarsi. Il gioco non è un passatempo. È un passaggio. E in troppi luoghi questo passaggio manca, o arriva tardi, o è lasciato alla buona volontà delle famiglie. Qui si è deciso di colmare la distanza tra bisogno e risposta.

Perché le famiglie sono il secondo pilastro del progetto. Il Timone non immagina il bambino senza il suo cerchio. Percorsi di ascolto, sostegno e condivisione sono parte del disegno: perché quando un figlio cresce meglio, tutta la casa cambia passo. Non c’è benessere del minore senza sollievo del genitore; non c’è autonomia del bambino senza competenza adulta che lo accompagni. È un’equazione semplice, eppure rivoluzionaria se la prendi sul serio.

C’è poi la rete: scuole, servizi sanitari, Terzo settore. Parole abusate, spesso. Qui diventano calendario, telefonate, protocolli, équipe che si parlano. La Neuropsichiatria Infantile non “benedice” soltanto: condivide metodo e valutazioni. Così la stanza multisensoriale non è un vezzo, ma uno strumento calibrato. Così il laboratorio per le autonomie non improvvisa, ma misura, documenta, restituisce. È il modo più serio per dire “inclusione”: risultati che si vedono e si possono raccontare senza retorica.

Qualcuno potrebbe obiettare: a che serve una ludoteca se i bisogni sono vasti, i fondi limitati, le liste d’attesa lunghe? Serve, eccome. Perché è una risposta concreta e replicabile. Perché sposta l’asticella degli standard cittadini. Perché dimostra che il pubblico e il privato sociale, quando si fidano, moltiplicano l’efficacia. E perché insegna una cosa semplice: la qualità non è un extra, è quello che rende giusto un servizio.

Il Timone oggi segue 84 adulti e 37 bambini, con un’équipe mista: educatrici per età adulta ed evolutiva, una psicologa, un’arte terapeuta, un’analista del comportamento e pedagogista, cinque collaboratori assistenti educativi, una trentina di volontari. I numeri non sono un vanto, sono una misura di responsabilità. Questa ludoteca li farà crescere. Ma la sfida vera è un’altra: far crescere l’alleanza che li sostiene.

E allora, cosa resta uscendo da qui? Resta un’idea di città che non si limita a non lasciare indietro, ma porta avanti. Resta la sensazione precisa che in certi giorni – pochi, ma decisivi – la comunità si guarda allo specchio e si riconosce. Resta un nome, Adolfo Boroli, legato a un futuro che non fa paura. Resta una porta che resterà aperta, con pazienza e con rigore.

Ci piace pensare che tra qualche mese qualcuno entrerà per la prima volta in quella stanza di decompressione con le spalle rigide, e ne uscirà con un passo diverso. Che in cucina un bambino batterà un uovo come fosse un tamburo e imparerà la misura. Che nell’acqua un’altra bambina troverà la calma per dire una parola in più. Piccole conquiste. Ma sommate, cambiano la traiettoria di una vita.

Questa inaugurazione non è un evento. È l’inizio di un’abitudine buona. E le abitudini buone, in una città, fanno costume. Da oggi Novara ne ha una in più.

Se volete capire meglio, passate. Ascoltate le stanze. Parlate con chi ci lavora. E, se potete, sostenete. La rotta è tracciata. Il Timone c’è. I bambini anche. Il resto tocca a noi.

Armando