Umberto Eco: «Noi siamo la nostra memoria. Quando morirò, ricorderò tutto»

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Umberto Eco: «Noi siamo la nostra memoria. Quando morirò, ricorderò tutto»

La videoinstallazione di Davide Ferrario, di cui Umberto Eco è protagonista assoluto, si intitola “Sulla memoria” ed è stata presentata nell’ambito di Codice Italia, il Padiglione Italia della Biennale di Venezia 2015 (curato da Vincenzo Trione).

Si tratta di una videointervista in tre momenti, girata nel gennaio del 2015 nella casa milanese di Eco. In quell’occasione il semiologo aveva risposto alle domande di Hans Ulrich Obrist. In una prima versione del film-saggio di Ferrario, è stata conservata la forma dell’intervista, interrotta da materiali di archivio. Nella versione definitiva, per una scelta del curatore e di Obrist, si vede solo Eco, che riflette sul ruolo e sullo spazio della memoria, il tema intorno a cui ruotava il Padiglione Italia.

È stata la prima volta che il professore – da sempre sensibile all’arte contemporanea – è diventato protagonista di una videoinstallazione. Ed è stata la prima volta che è «andato» in Biennale. La sua ultima uscita pubblica. Nell’epilogo di questa confessione, Eco dice: «Quando morirò, ricorderò tutto».

 

Questo è il ricordo di quell’intervista, nelle parole di Davide Ferrario.

“Ci sono occasioni in cui sapere che il proprio lavoro è visto e apprezzato genera più malinconia che orgoglio. Mi è successo in questi giorni, quando molti che non l’avevano visto prima mi hanno fatto i complimenti per «Sulla memoria», una videoinstallazione realizzata per il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte di Venezia. Il fatto è che si è trattato, purtroppo, dell’ultima intervista filmata a Umberto Eco. «Intervista» è un termine improprio: come ho detto, era una installazione costituita da tre segmenti montati in parallelo in cui Eco esprimeva i suoi pensieri sulla funzione della memoria. Il lavoro mi era stato commissionato dal direttore Vincenzo Trione ed è stato realizzato grazie all’intervento di UbiBanca. Sono grato a entrambi per l’occasione che ho avuto di collaborare con il «Professore» e di conoscere di persona una delle menti più brillanti degli ultimi cinquant’anni.

La prima cosa che ti colpiva in lui erano gli occhi. Le grosse lenti non riuscivano a nascondere l’intensità dello sguardo, il cui primo intento era capire chi si trovava di fronte. Una valutazione professionale, verrebbe da dire, che stabiliva a che grado di relazione Eco si poneva con ciascuno. Non si trattava di snobismo. L’identikit non serviva a classificarti per «metterti al tuo posto», ma semplicemente a misurare il grado di complessità (e ironia, inscindibile in lui) su cui impostare la conversazione. Con me, per esempio, cominciò a suggerire le inquadrature, come se il regista fosse lui. Con garbo e ironia, ci mancherebbe: ma dimostrare che ero degno di fare il regista fu la prima prova a cui mi sottopose. Quando poi settimane dopo vide il montato definitivo fu contento, ma ci tenne a rimarcare: «Si vede che lei di mestiere non fa il filologo». So anche che, nei mesi successivi, fu piacevolmente stupito da quanti gli facevano i complimenti dopo aver visto il lavoro alla Biennale.

La vera cosa che Eco non sopportava era l’imbecillità. Soprattutto l’imbecillità boriosa e autocompiaciuta dei tanti opinionisti dei media. In particolare, ce l’aveva con internet, una vera «tribuna degli stupidi», secondo lui. Il fatto è la sua intelligenza e la sua cultura non prendevano mai la forma della supponenza tipica degli imbonitori che odiava. Non solo perché amava anche le forme «basse», come i fumetti o la narrativa d’appendice, ma soprattutto perché in lui la complessità non si dissociava mai dalla chiarezza. «Sulla memoria» è un esempio perfetto di quello che intendo. In quei quindici minuti Eco dice cose di una profondità straordinaria: eppure lo fa col sorriso sulle labbra, come se ti stesse raccontando un’ovvietà. E con una limpidezza di pensiero che si trasforma in pura forza cinematografica.

È stato buffo, in questo senso, rendersi conto che a Venezia avevamo commesso un errore. Si sa come funzionanoi video nelle mostre d’arte: è molto difficile stare a guardarli dall’inizio alla fine, ci si sofferma al massimo per qualche minuto e poi si va oltre. Per questo avevo pensato a un montaggio «puntuale», qualcosa che potesse funzionare per stile e contenuto anche se visto brevemente. Come se non bastasse, l’architetto incaricato del Padiglione aveva montato i tre video in cima a una stretta passerella, senza una sedia o un posto comodo per fermarsi. Tutti pensavamo che la gente avrebbe osservato per un po’ e poi se ne sarebbe andata. Fin dal vernissage fu chiaro quanto ci eravamo sbagliati. Pressoché tutti quelli che arrivavano lì si fermavano per gli interi quindici minuti, appollaiati alle balaustre, o scomodamente seduti per terra, in discesa. Il fatto è che se cominciavi ad ascoltarlo, Eco lo seguivi fino alla fine.

Certo, oggi, una delle frasi più poetiche pronunciate in quel lavoro colpisce in modo diverso. Parlando di come nei vecchi — almeno quelli non malati — la memoria, invece di diminuire, aumenta, il Professore a un certo punto disse: «Il giorno della mia morte ricorderò tutto». Lo disse con un sorriso soddisfatto, lo stesso che immagino e spero lo abbia accompagnato in quel momento. Lo stesso che sono felice e orgoglioso di aver impresso per sempre nella memoria di tutti”.

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