Quella sera andai al cinema per vedere un film di Woody Allen. Il mio mito. La sua ironia, la sua nevrosi, quella New York nervosa e brillante che sembrava fatta apposta per chi non riesce mai a sentirsi davvero al posto giusto. Sedetti in sala per lui. Ma uscii pensando a lei. Diane Keaton.
Fu una sorpresa netta, quasi uno spostamento di asse. Mi resi conto, a metà film, che non stavo più seguendo Woody. Lo guardavo solo attraverso i suoi occhi, quelli di Annie. E capii che senza di lei quella storia non avrebbe avuto lo stesso battito.
Non era solo un’attrice: era un magnete. Vestita con la sua camicia larga, la cravatta allentata, il cappello a tesa morbida, occupava lo schermo con una leggerezza che nessuno aveva mai osato. Non seduceva, non recitava la parte della “musa”. Era semplicemente se stessa. Ed era irresistibile.
Anni dopo seppi che quel look, così inconfondibile, era farina del suo sacco. Non per stupire, ma per stare comoda, per sentirsi viva. Quell’eleganza sghemba, quel modo di camminare un po’ stonato rispetto a tutto il resto… erano una dichiarazione di indipendenza. Silenziosa ma netta.
Diane Keaton non rubava la scena: la riscriveva. La piegava verso la sua misura. In Annie Hall dava corpo e respiro a tutto ciò che Woody Allen cercava di dire — e spesso non riusciva. Lei lo completava. Lo smentiva e lo accoglieva nello stesso gesto.
Uscendo dalla sala, avevo la sensazione limpida di aver visto un film in cui la protagonista assoluta era lei. E che, senza di lei, quella storia si sarebbe sbriciolata.
Col tempo Diane non ha mai smesso di essere così: elegante fuori tempo, ironica, imperfetta e libera. Non ha inseguito ruoli né maschere: ha tenuto il passo con se stessa. E quel passo resta inconfondibile.
Per me resterà sempre quella ragazza con la cravatta lenta e la risata leggera, capace di trasformare un film di Woody Allen in un film suo.






